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[tratto da una Tesi di Barbara Landucci]
La nautica viareggina affonda le sue origini nel lontano 1441: grazie alla "Tregua dei 50 anni", stipulata con Firenze, Lucca perde definitivamente lo scalo marittimo di Motrone ed è costretta a dirottare le proprie attenzioni sulla spiaggia di Viareggio, unico scalo marittimo disponibile per i commerci dello Stato Lucchese.
Nel 1534 viene eretta la Torre Matilde e, successivamente, si costruisce la Casa del Commissario di Spiaggia, entrambe sulla sponda settentrionale del canale. E’ proprio intorno a queste due costruzioni che nasce e si sviluppa il nucleo abitativo di Viareggio, un agglomerato di piccole case e capanne di pescatori.
In un documento del 23 settembre 1631, le autorità della Repubblica Lucchese decidono di inviare a Viareggio il genovese Giuseppe da Malora con una sciabica, un palamito, e una fregata, per insegnare agli abitanti del villaggio l’arte della navigazione e della pesca.
Si tratta di una vera e propria scuola nautica per quei viareggini che avessero voluto diventare marinai e pescatori di professione.
Nel 1740, le opere di bonifica intraprese dall’ingegnere e idraulico veneziano Bernardino Zendrini, danno un forte impulso alla crescita della cantieristica di Viareggio.
Quasi un secolo più tardi, nel 1820, Maria Luisa di Borbone riconosce l’accresciuta importanza del borgo marinaro (contava più di mille abitanti) e lo eleva al rango di città.
L’anno seguente la Duchessa emana un regolamento per la marineria viareggina che comprendeva alcune norme, tra cui:
• la concessione delle patenti e dei brevetti di comando;
• le matricole dei capitani;
• i ruoli degli equipaggi;
• la polizia della navigazione;
• la Cassa della marina mercantile, ossia un fondo per le pensioni ai marinai che non potevano più navigare a causa di malattie o per vecchiaia.
Il primo costruttore di bastimenti fu Valente Pasquinucci che, insieme al calafato Pasquale Bargellini, già nel 1809 aveva allestito la prima imbarcazione battezzata "San Pietro".
Due anni più tardi la flotta viareggina vantava ben 19 imbarcazioni da trasporto e 24 da pesca.
Il 1822 vede un ulteriore importante sviluppo per la marineria mercantile viareggina: viene pubblicato un regolamento speciale in cui si proibisce la pesca durante i mesi della "cova dei pesci".
A seguito di tali disposizioni, per evitare di tenere inoperose le loro imbarcazioni, i pescatori sopperiscono ai mancati guadagni trasportando merci: ciò porta all’abbandonano progressivo della pesca per trasformarsi in marinai.
Con navicelli da pesca, barconi e chiatte appositamente allestite, si trasportano merci fino al porticciolo di Massaciuccoli, sul lago.
Si sviluppa un piccolo commercio che fa nascere l’esigenza di modificare scafi, alberatura e chiglie, per rendere i battelli più idonei al trasporto delle merci.
Gli artigiani ricevendo sempre più spesso richieste di barche specializzate nel carico iniziano ad impostare le prime imbarcazioni: le tartane.
Questo tipo di imbarcazione, armata a vela latina con un solo albero, (detta anche bilancella) viene adibita sia al trasporto mercantile, con portata tra le 30 e le 90 tonnellate, che per la pesca, in coppia con una barca gemella, assumendo allora il nome di paranza.
Nel 1823 si concludono i lavori di costruzione della prima darsena "Lucca", e cinquant’anni più tardi (1871) si costruisce la seconda darsena chiamata "Toscana".
La via Coppino è il collegamento tra i primi due bacini dello scalo marittimo, affermando la destinazione portuale e cantieristica della zona meridionale della città.
Lungo il canale iniziano a far sosta bastimenti a vela di più grandi dimensioni che talvolta si fermano per effettuare riparazioni e lavori di manutenzione.
L’esperienza degli artigiani viareggini cresce per l’impostazione di navi più grandi.
Nella seconda metà dell’Ottocento sono varati, oltre alle solite tartane, alcune golette e brigantini-goletta, bastimenti a vela a due alberi che saranno diffusissimi nella marineria viareggina.
Nacquero i famosi "barcobestia" con tre alberi armati a nave goletta; su queste navi i capitani e i marinai viareggini arrivano a navigare oltre i confini del mediterraneo facendosi riconoscere nei vari porti. La caratteristica più evidente di queste imbarcazioni era quella di avere la prua più alta della poppa, la quale ultima era invece sottile e slanciata nella sua elegante rotondità ovale.
Gli inglesi chiamavano le golette viareggine con il termine "the best barc".
Iniziò quindi la costruzione dei velieri, con grandissimo prestigio, grazie all’intelligente opera ed all’estro creativo di Gino Benetti e Fortunato Celli (il popolare "Natino"), che si fece subito notare per l’eleganza degli scafi: i suoi bastimenti sono entrati nella leggenda.
Ne rimase suggestionato anche lo scrittore Mario Tobino che nel romanzo "Sulla spiaggia e di là dal molo" gli dedicò un racconto: "Costruisti, Natino, i bastimenti più belli, freschi e superbi in ogni mare, avevano il soffio delle anfore greche".
A Viareggio la nautica incontra il turismo, il mare coniuga i diversi volti della città: uno balneare e uno marinaro, con i lavoratori del mare.
Il confine naturale è segnato dal Burlamacca; a nord inizia la storia della Viareggio turistica ricca di alberghi, caffè, sale da ballo, meta di artisti, letterati, industriali; a sud, tra le darsene, si sviluppa la cantieristica.
Nel 1827 nasce il primo stabilimento balneare comunale a pagamento, finita la stagione estiva i frequentatori furono 1029. L'anno successivo le costruzioni sono due: il "Nereo" per soli uomini e il "Dori" per le donne.
Il turista incontra l’azzurro delle acque e le costruzioni leggiadre ed esotiche del litorale con il gusto di viverne i colori e le comodità, come narrano i dipinti di Moses Levy.
Il resto degli uomini che sul mare lavora e fatica, vede le acque con gli occhi di Viani, cantore delle miserie, delle storie dei marinai e soprattutto delle lunghe attese delle donne.
Nei primi anni successivi all’unità d’Italia, la flotta viareggina è composta da oltre 200 imbarcazioni, gran parte delle quali di produzione locale. Sorgono attività collaterali come quelle dei calafati, maestri d’ascia, funari, bozzelli, velai, fabbri, falegnami. In città si contano 60 telai per la produzione di vele.
Dopo il 1860, il numero dei cantieri si moltiplica, specialmente per l’opera di Achille ed Alessandro Raffaelli, di Lorenzo Bargellini, di Lorenzo Benetti e dei fratelli Codecasa.
Gli stessi proprietari dei cantieri sono, prima di tutto, eccellenti maestri d’ascia, abilissimi a dar forma ai bastimenti e attaccati alla tradizione della costruzione in legno.
E’ il 1886 quando viene varato il primo veliero da 300 t.s.l. (tonnellate stazza lorda), e nei primi del Novecento si costruiscono bastimenti oltre 400 t.s.l.. I grandi costruttori, a cavallo tra i due secoli, sono in grado di costruire velieri di oltre 500 t.s.l..
Molti degli artigiani provengono dalle sponde dell’Arno (in particolare da Limite sull’Arno), dove già da secoli si costruivano barche per il trasporto di beni.
La città continua ad accumulare ritardi nei confronti dei cantieri di tutta Italia. Nel giro di 2 anni crolla l’impero "Ansaldo" ed i cantieri passano ai Benetti; si arriva così alla forte crisi del 1922.
Il 1925 fu la volta dei fratelli Gino ed Emilio Benetti i quali formalizzarono la loro posizione iscrivendo la "F.lli benetti, società di fatto" alla camera di commercio industria e artigianato di Lucca.
I terreni sulla sponda meridionale del canale Burlamacca erano in mano ai costruttori locali, geniali artigiani, profondi conoscitori dell’arte della costruzione in legno ma piccolissimi imprenditori, pressoché privi di capitali ancora lontani dalla cultura d’impresa.
La cantieristica viareggina comunque appare ricca di potenzialità, di una ricchezza che consente alla città di avere qualcosa in più rispetto agli altri cantieri italiani, già emancipati nella lavorazione del ferro, ma dimentichi dell’impronta tutta umana che solo l’artigiano inferisce al materiale che tratta.
L’offerta di lavoro, anche specializzato, è abbondante, la manodopera a buon mercato, la possibilità di disporre di materia prima non presenta particolari problemi, anche se è da fuori che arriva il legno di quercia per la struttura portante della nave, mentre le pinete locali offrono il fasciame per tutto il resto.
«Da qualche tempo lavoro in un cantiere navale. Sopra gli scali a scivolo sullo specchio dell’avanporto stanno crescendo a poco a poco due grosse navi di ferro. Ormai le loro prue sono contro il cielo azzurro, altissime. E gli scafi immensi, tra i tralicci delle impalcature, si accovacciano sul cemento degli scali come anatre selvatiche tra i canneti del padule».
«...poi venne il ferro. Gli anni erano corsi come puledri. Il ferro invade ogni carena, nasce il motoveliero, si innestano nelle poppe i motori. L’eleganza degli albatros viareggini non si posa più sulle onde.».
La terza darsena, "Italia", collegata direttamente alla darsena Toscana viene ultimata nel 1907, dopo 4 anni di lavori.
Nel 1938 la quarta darsena, dapprima chiamata "Impero" e successivamente "Europa", e la realizzazione della diga foranea di protezione dalla traversa di Libeccio, detta anche molo di levante o moletto, concludono i lavori per dotare Viareggio di un vero porto.
Sulle sponde del Burlamacca si impostano esclusivamente velieri e motovelieri in legno, mentre in campo nazionale, cessato il boom delle grandi vele oceaniche, la cantieristica volge alle costruzioni in acciaio.
I vecchi armatori sottovalutano questi nuovi mezzi a propulsione meccanica in quanto nessuno vedeva di buon occhio queste navi: avevano gestioni e problematiche molto diverse da quelle delle tranquille navi a vela. Viareggio rimane estranea alle nuove tecnologie, chiusa com’è nella tradizione del lavoro in legno e della propulsione a vela; l’unica innovazione nei velieri è l’installazione di motori a combustione interna, di limitata potenza. Si tratta di una propulsione mista che consentirà alle vele, ormai estromesse dai grandi itinerari oceanici, di sopravvivere nella navigazione costiera.
«... cominciarono con operai viareggini, fabbri e maestri d’ascia e con mezzi primitivi ... qualche fabbro si arrangiò presto a piegare le ordinate e a sagomare le lamiere tracciate con sistema primitivo.
All’inizio i costruttori e i progettisti viareggini posti di fronte a problemi nuovi, mai incontrati, non fecero altro che ricalcare, per quanto possibile, le metodologie costruttive da decenni adottate per gli scafi in legno, e nelle quali avevano raggiunto i più alti livelli di specializzazione».
Le ultime resistenze di una tradizione, la maestria dei costruttori e dei marinai sembra garantire la richiesta di imbarcazioni di un certo tipo, ma la crisi economica mondiale è alle porte e non risparmierà Viareggio.
All’incalzare del ferro, il legno perde importanza e il motore reclama il posto della vela.
Il cambiamento urge, i costruttori iniziano ad intraprendere la strada del ferro.
Il primo ad abbandonare la tradizione lignea è Maurizio Benetti, che mette a frutto il suo diploma di architetto navale, conseguito a Genova (primo istituto nautico d’italia).
Maurizio e Gino Benetti aprono quindi la prima officina meccanica su via Coppino, utilizzata in un primo tempo per le sole revisioni dei motori diesel.
I due fratelli Benetti incontrano notevoli difficoltà, come l’assenza di maestranze addestrate a lavorare il ferro, degli strumenti e dell’organizzazione necessaria.
Nel 1941, alla darsena Impero viene varato il primo motoveliero "Maria", di produzione Benetti e di proprietà degli armatori Bertacca e Landi.
Per la città è una data storica; è infatti la prima nave in acciaio uscita dai cantieri di Viareggio.
Resta palese il ritardo con cui l’industria navale viareggina, ostinatamente attaccata alle costruzioni in legno e alla navigazione motovelica, è arrivata al ferro.
La stessa Livorno, ad esempio, già dal 1865 disponeva di un cantiere navale attrezzato per la costruzione di navi in ferro e acciaio.
Alla guida di questa grande industria siderurgica c’è la famiglia Perrone di Genova che si interessa ad acquistare economiche navi in legno da equipaggiare con motori diesel e destinate al piccolo cabotaggio nel Mediterraneo.
"Come è noto i piccoli cantieri di Viareggio che costruiscono navi in legno sono privi di capitali propri e si contentano di lavorare poco, pur di avere lavoro sicuro. Ma se a codesti maestri d’ascia che hanno tradizioni antichissime e una ben nota esperienza di carpentieri e costruttori di bastimenti in legno, si facilitasse l’avviamento sia con la fornitura di motori a pagamento posticipato, oppure a lunga scadenza; sia anche anticipando loro piccoli capitali per metterli in grado di acquistare i boschi onde traggono il legname per le imbarcazioni, si potrebbe far rinascere un’industria italiana importantissima".
Così, nel 1917, i Perrone non si fanno sfuggire l’opportunità di avere tra i loro dipendenti i più famosi costruttori di Viareggio: Lorenzo Benetti, Giovan Battista Codecasa e Fortunato Celli.
La concessione sulla quale deve essere impiantato il nuovo cantiere, ottenuta sulla darsena Italia, è registrata a nome di Alessandro Tomei: amministratore delegato della nuova "Società Costruzione e Navigazione Velieri".
A dirigere la società viene inviato l’ingegnere Carlo Rocchi, il quale incontra non pochi problemi a causa della concorrenza tra i diversi cantieri nell’accaparramento della manodopera specializzata (erano circa 150 maestri d’ascia e 200 allievi ed affini).
La lavorazione dell’acciaio sta iniziando a diffondersi rapidamente, quando sopraggiunge la seconda guerra mondiale.
Viareggio subisce 62 bombardamenti in cui vengono sganciate 1.667 bombe; la città viene ridotta a un cumulo di macerie.
La ripresa economica ha come unica strada percorribile la totale ricostruzione della opere portuali.
"I lavori che ormai si debbono iniziare hanno un’importanza vitale per Viareggio in quanto da essi dipendono le attività dei nostri cantieri e l’avvenire dell’industria e del commercio di tutto il vasto retroterra della Versilia" scrive il Tirreno il 13 agosto 1945.
In seguito a richieste di finanziamenti al governo, seguite da proteste e scioperi dei lavoratori per la lentezza nei lavori di ricostruzione, la ricostruzione avviene dal 1947 al 1951.
Già nel 1946 si contano 13 cantieri navali, tra cui:
• G.B. Codecasa
• F.lli Benetti
• Cantieri Picchiotti
• Cantiere Italia di Carlo Landi
• Maurizio & Bertani Benetti (specializzato in costruzioni in ferro)
• Itoyz & Puccinelli (specializzato in costruzioni in ferro)
Verso la fine del ‘45 si hanno i primi vari del dopoguerra: scompaiono definitivamente le barche viareggine, si diffonde la produzione delle motonavi in acciaio.
Ad anni di distanza alcuni metodi di tracciamento e di montaggio continuano a essere riciclati da quelli usati per le navi in legno, portando con sé non poche difficoltà.
Nel ‘48 Dante Itoyz aprirà un cantiere in proprio, reclutando maestranze in un campo profughi di Carrara: operai fiumani che avevano lavorato nei cantieri del Quarnaro, dove da anni venivano varate navi in acciaio.
La nuova organizzazione dei cantieri assicura un ciclo di lavorazione continuativo basato su un flusso costante di materiale, che viene gradualmente lavorato per poi essere assemblato.
Si tratta di una vera e propria catena di montaggio che porta ad una notevole riduzione sia dei costi che dei tempi di costruzione.
A farne le spese sono le maestranze locali, per le quali appare difficoltoso adattarsi al cambiamento della produzione dal legno all’acciaio.
Si montano teleferiche per spostare orizzontalmente i pezzi della nave, che costruiti in serie sui diversi scali, vengono poi riuniti e saldati sullo scalo varo.
Nelle piccole imprese si diffonde la saldatura delle lamiere che va sostituiendo la chiodatura dello scafo.
Con la ripresa economica degli anni 50/60, aumenta la richiesta di imbarcazioni per il piacere di godersi il mare.
Sulla scia del boom economico, i cantieri Fratelli Benetti, Codecasa, Picchiotti, e altri più piccoli, prevalentemente a gestione familiare, accolgono la crescente domanda di imbarcazioni di lusso.
Quella della vetroresina è una rivoluzione che ha fatto molto per la diffusione popolare della nautica, ridisegnando non solo la mappa dei costruttori, ma anche l’impatto con l’utenza e, in sostanza, l’intera filosofia alla base del "prodotto barca".
L’impatto della vetroresina nel campo delle costruzioni nautiche a Viareggio è stato sofferto ed ha creato anche vittime illustri, ma ha consentito lo sviluppo di una nautica più popolare e numericamente più ricca, valorizzando nel contempo nicchie costruttive e di mercato che non hanno abbandonato il legno né i materiali e gli accessori pregiati per le costruzioni navali, facendone un’arte per pochi.
Negli anni 70 cresce la richiesta per le imbarcazioni da diporto, e Viareggio si trasforma in uno dei maggiori centri di produzione del mediterraneo per la produzione di Motor-Yachts.
Alcune famiglie locali titolari di officine, piccoli imprenditori e anche semplicemente operai, espandono ora la loro dimensione e la produzione dell’azienda.
La fama di Viareggio, sede di abili costruttori, si diffonde oltre i confini nazionali; cresce la domanda per imbarcazioni di lusso e ciò incrementa la trasformazione della diportistica viareggina.
La filiera della nautica da diporto viareggina si contraddistingue per la presenza di variegate tipologie di imprese.
La specializzazione e la presenza di microimprenditorialità diffusa sono i due elementi che hanno garantito lo sviluppo di conoscenze, capacità operative e spinta motivazionale.
Ciò caratterizza il complesso sistema delle competenze presenti sul territorio, con differenti settori di business, e, al tempo stesso, connesse fra loro da relazioni produttive, tecnologiche, professionali e commerciali.
Nel 1980 la crisi petrolifera determina l’interruzione delle attività con la conseguente perdita di lavoro per centinaia di operai.
Si ha la resa dei grandi costruttori navali: i "Fratelli Benetti", "Picchiotti", "M.B. Benetti" vengono concessi in affitto dal tribunale di Lucca a gruppi di industriali del nord Italia.
I nuovi "padroni" si avvalgono del diritto di prelazione sull’acquisto:
• la M.&B. Benetti passa alla SEC che continua a costruire navi da lavoro e mercantili.
• Il cantiere Picchiotti viene assegnato, sotto forma di affitto, alla Perini Navi, azienda lucchese in espansione, indirizzata verso la costruzione di motor-sail yacht di notevoli dimensioni, con ottime finiture e altissimi standard di comfort e sicurezza.
• Il cantiere Fratelli Benetti, specializzato nella costruzione di mega yacht con alle spalle un bagaglio tecnico di notevole valore, è rilevato dalla Azimut di Torino, azienda di spicco per la costruzione di barche in vetroresina di contenute dimensioni.