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Di necessità virtù
Ci sono ricette che al giorno d'oggi vengono considerate dei veri e propri capisaldi della tradizione gastronomica viareggina, ma sono nate per valorizzare tutto ciò che la terra e il mare offrivano, anche e soprattutto ciò che rimaneva inveduto, non richiesto o considerato poco pregiato.
Il fattore comune era quello del risparmio: per far fronte alle ristrettezze economiche del passato, non si poteva certo buttar via niente, quindi venivano riciclati e reinventati gli avanzi dei pasti precedenti.
Dalla tradizione marinara, i piatti pricipali erano prevalentemente a base di pesce, ma grazie alla campagna e al lago di Massaciuccoli la cucina povera ha iniziato a partorire ricette intriganti dai connubi eccezionali.
Buon appetito!
Quando in passato succedeva di cadere in miseria, la gente di mare si ingegnava come meglio poteva per soddisfare i propri bisogni, soprattutto quelli primari come mangiare.
Un ingegnoso strattagemma per ottenere un piatto invitante era quello di cucinare la "pasta ai sassi": venivano prese in mare o tra gli scogli, alcune pietre e si mettevano nell'acqua di cottura, con tanto di incrostazioni di muschio, piccoli molluschi e crostacei.
Questo dava alla pasta un sapore di salsedine; si aggiungeva aglio, olio e quello che c'era, accontentandosi del solo profumo e sapore del mare.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 15 minuti
Tempo di cottura: 45 minuti
Scottate i pomodori per 30 secondi in acqua bollente, versate 3 cucchiai di olio in un tegame e fatevi appassire a fuoco basso un aglio intero schiacciato, peperoncino, e uno dei ciuffetti di prezzemolo tritato.
Quando l’aglio accenna a colorarsi, versate il vino bianco secco e lasciatelo evaporare completamente.
Unite la polpa dei pomodori, salate con moderazione (i sassi sono salati) e fate insaporire per 5 minuti.
Aggiungete l’acqua necessaria per cuocere la pasta, il sasso e portate a bollore.
Cuocete per mezz’ora, dando alle pietre il tempo di rilasciare gli odori e i sapori del mare, mescolando di tanto in tanto.
Rimuovete i sassi: il sugo deve essere cotto ma non troppo ristretto.
Spezzettate gli spaghetti e metteteli a cuocere, dovrete ottenere una minestra piuttosto densa.
Pepate, cospargete con altro prezzemolo e servite ben caldo.
Questo risotto è una delle ricette della tradizione lacustre del Massaciuccoli: la Tinca ha rappresentato una delle principali fonti di sostentamento per tutti coloro che in padule vivevano e lavoravano.
Oggi è rimasta una prelibatezza cucinata da pochi.
Di colore verde scuro, ha il corpo allungato di circa 30 cm di lunghezza, e due grossi barbigli in corrispondenza della bocca; ha carni saporite ma ricche di spine e molto spesso dal sapore di fango a causa delle abitudini alimentari di questo pesce.
La carne della tinca è magra, ricca di proteine e molto digeribile, quindi adatta ai bambini.
Ne è consigliato un uso moderato a chi soffre di insufficienza renale, a causa del carico di acido urico.
Presente in grandi quantità fino agli anni 60, questo pesce è andato via via riducendo la sua popolazione a causa dell’inserimento di altre specie esotiche che hanno preso il sopravvento, come la gambusia e il persico trota.
Nel 2010 sono stati liberati oltre 10000 esemplari di tinca nel lago di Massaciuccoli, come lotta biologica contro le zanzare, ripopolando in maniera cospiqua il nostro padule.
Il risotto alla tinca era una delle pietanze preferite da Giacomo Puccini, che da sempre fu un raffinato buongustaio.
Provetto cacciatore, passava il suo tempo libero per folaghe, tordi e colombacci sul nostro lago, spostandosi in barca tra la sua casa di Torre del Lago e la villa "La Piaggetta", a Massaciuccoli, del suo amico Carlo Benedetto Ginori Lisci, al quale dedicò La Bohème e scrisse per lui la lirica Avanti Urania.
Amante della cucina toscana, le sue più gustose mangiate avvenivano dopo le fatiche della caccia. Amava ingentilire il pasto con mandarini e vino frizzante delle nostre colline e con il latte alla portoghese come dessert.
Queste notizie culinarie sono giunte a noi grazie al ritrovamento di due lettere in cui il Maestro scrive a Isola Nencetti Vallini, la sua cuoca preferita.
per 4 persone
Per il brodo:
Tempo di preparazione: 1 ora
Tempo di cottura: 30 minuti
Prima della preparazione è consigliabile un’accurata pulitura lasciandola spurgare per qualche giorno in un catino con acqua fresca corrente.
Pulite la tinca e lessatela nell’acqua con gli ingredienti del brodo.
A cottura ultimata filtrate il brodo e conservatelo per il risotto.
Fate un battuto con prezzemolo, basilico, aglio, cipolla e peperoncino e rosolate in un tegame con olio.
Unite la bieta ben tritata e successivamente la tinca tagliata a grossi pezzi e fatela insaporire bene; bagnatela con vino bianco fino a farlo evaporare.
Togliete la tinca, sfilettatela e passatela al passatutto insieme al fondo di cottura.
Rimettete la polpa della tinca nel tegame, aggiungete passato di pomodoro e pomodoro senza semi; fate cuocere per una ventina di minuti.
Versate il riso nel tegame, lasciatelo insaporire e portatelo a cottura nella maniera classica aggiungendo brodo poco a poco.
Servite con un po’ di prezzemolo fresco tritato.
«Bisognava attendere quelle maestose mareggiate provocate dal libeccio e ancor più dal vento di Provenza, per andare sulla spiaggia quando ormai il mare si andava calmando, a vedere se "straccava" i coltellacci. Sfidando freddo, vento e sbruffi marini, si scalavano i cumuli di lavarone in cui affondavano i piedi, inzuppandosi d'acqua.
Seguendo il ritmo delle onde sulla spiaggia, quando si ritiravano si andava a raccogliere i doni del mare: coltellacci (cannolicchi), nicchi (arselle) e nicchioni, che la furia delle correnti aveva portato fin lì sradicanoli dalle loro sedi.
Allora capivo perché per il popolino viareggino, che durava tanta fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, la "straccatura" era una vera e propria benedizione, un amoroso miracolo della provvidenza.
Questo simpatico, prelibato e riservato frutto di mare, mi apparve come un simbolo, quasi un'essenza del viareggino originario e verace, per più motivi.
Il coltellaccio alberga nella rena (e le case di Viareggio dove sono?) nel suo buchetto a tre o quattro metri di profondità sott'acqua. La sua è un'esistenza precaria, affidata interamente alla natura; basta un turbamento di correnti e viene impietosamente sfrattato dal su alloggio e sbatacchiato senza riguardi sulla spiaggia.
Per questo mi appariva come una metafora del viareggino antico: un uomo che viveva alla giornata e dipendeva dai capricci del mare, che non avendo certezza alcuna sfruttava stagionalmente i beni che la natura gli metteva a disposizione, come pesci, muscoli, arselle, pinacci, rossine, anguille cée.
Il viareggino viveva in balia del tutto e da un momento all'altro, per una qualsivoglia catastrofe provocata dalla natura (o anche dalla società organizzata), andava incontro al disastro, alla sventura.
Come un coltellaccio poteva finire improvvisamente “straccato”, una preda da saccheggiare.»
tratto da un'intervista di Adriano Barghetti relativamente alla sua canzone "Il cha cha cha dei coltellacci".
per 4 persone
Tempo di preparazione: 10 minuti
Tempo di cottura: 15 minuti
Aprire a crudo i coltellacci che dovranno essere rigorosamente ancora vivi, lavarli ripetutamente in acqua fino a quando non saranno belli bianchi.
Tritarli grossolanamente.
Ricoprire il fondo di una casseruola con olio d'oliva extravergine e imbiondire l'aglio e il peperoncino, aggiungere i coltellacci e far ritirare a fuoco vivace tutta l'acqua che renderanno.
Aggiungere il vino e, quando sarà evaporato, aggiungere il pomodoro tagliato e coprire. Lasciar cuocere lentamente, dopo aver aggiustato di sale.
Cuocere gli spaghetti e, quando saranno bene al dente, saltarli nel sugo.
Spolverare a piacere con prezzemolo tritato.
Un consiglio per la riuscita al meglio del piatto?
Tieni d’occhio il vento, se tira una bella Provenza prendi gli stivali, fatti una passeggiata sulla bàttima e... vedrai come stràcchino!
Il nome Trabaccolara deriva da "Trabaccoli": le particolari imbarcazioni dei pescatori di San Benedetto del Tronto, giunti a Viareggio tra l'inizio degli anni 20 e la fine degli anni 30.
Queste imbarcazioni, nate per il trasporto merci ma riadattate per la pesca, si distinguono per il fondo piatto con poco pescaggio (dal latino trabem, trave), e due alberi muniti di vela a terza, solitamente colorata.
La Trabaccolara è un piatto povero della tradizione viareggina: viene realizzato con pesci di fondale che al mercato del porto restavano invenduti, come gallinelle, scorfani, tracine, triglie, naselli, gattucci ecc.
A questi ingredienti di base, qualcuno ama aggiungere anche crostacei e molluschi che rendono il piatto più ricco, ma lo allontanano dalla ricetta originale.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 20 minuti
Tempo di cottura: 15 minuti
Sfilettare i pesci separando i filetti dalla testa e dalle lische; con gli scarti preparare un buonissimo fumetto di pesce che utilizzeremo successivamente.
In una padella, preparare un soffritto con un trito di prezzemolo, aglio, cipolla, peperoncino, olio.
Spellare i pomodori privandoli dei semi, tagliarli a dadini e aggiungerli al soffritto.
Appena l'acqua dei pomodori si è ritirata, aggiungere il vino. Quando sarà evaporato, versare il pesce a filetti e salare.
Sfrigolare il pesce, cercando di evitare l'effetto bollito, quando diventa bianco schiacciarlo con una forchetta.
In una pentola a parte scaldare abbondante acqua; quando bolle salarla e buttare la pasta.
Scottare per 2 minuti, toglierla dal fuoco e scolarla. Versarla nella padella insieme al pesce e, via via che il liquido si ritira, aggiungere il fumetto fatto precedentemente.
Appena la pasta è pronta e al dente, servire con una spolverata di prezzemolo fresco tritato e decorare con una foglia di basilico.
Gli spaghetti "co’nnicchi", a Viareggio, è un piatto estivo per eccellenza, rigorosamente in bianco e servito lasciando i gusci, per preservare il sapore del mare.
I nicchi non sono altro che le telline, arselle o zighe.
Nei periodi consentiti, la raccolta di queste conchiglie si fa con l'apposito "rastrello" agganciato in vita, tirando per raccogliere i nicchi, separandoli così dalla sabbia.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 30 minuti
Tempo di cottura: 10 minuti
Prima della preparazione è necessario far spurgare i nicchi dalla sabbia in essi contenuta, lasciandoli per un giorno intero in un catino con acqua salata, cambiandola più volte per eliminare la sabbia che si accumula sul fondo.
Schiacciare uno spicchio d’aglio con il lato della lama di un coltello.
In una padella, mettere un filo d’olio e farvici soffriggere l’aglio, aggiungere i nicchi e il vino, coprire ed alzare la fiamma.
Aspettare circa 5 minuti, il tempo necessario per far schiudere tutte le telline.
In una ciotolina mettete in infusione il prezzemolo, lavato e tritato, con l’olio rimasto.
Fate cuocere gli spaghetti in abbondante acqua bollente salata, scolateli al dente e versateli nella padella con i nicchi insieme a poca acqua di cottura, fateli mantecare con l’olio aromatizzato al prezzemolo.
Spegnere il fuoco, condire con prezzemolo tritato e peperoncino e servire.
non forzare con il coltello i molluschi che non si sono aperti in padella: erano già morti prima della cottura, quindi potrebbero fare male alla salute.
Al Carnevaldarsena c’è un piatto che più di altri rappresenta questo rione, ed è il risotto seppie e bieta (detto anche riso rosso), che unisce la tradizione marinaresca con quella contadina.
I rioni del Carnevale di Viareggio sono stati "inventati" proprio in darsena il 20 febbraio 1971: ancora oggi è il rione più bello, coinvolgente e duraturo.
Per cinque serate (dal venerdì successivo al giovedì grasso al martedì grasso), si svolge in via Coppino il famoso Baccanale, che si affaccia sulle barche della Darsena.
Ai rioni non si va solo a ballare (e a bere), ma si può anche cenare, e il Carnevaldarsena offre da sempre una delle migliori cucine marinaresche viareggine.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 15 minuti
Tempo di cottura: 20 minuti
Pulire le seppie, rimuovere l’osso e lavarle bene sotto acqua corrente. Tagliarle a pezzetti.
Lavare bene le bietole, tritarle abbastanza finemente.
In una padella mettete tre spicchi d’aglio con tre cucchiai d’olio e un pochino di peperoncino e lasciar soffriggere.
Aggiungere la bieta e lasciar insaporire per un paio di minuti, poi aggiungere le seppie e lasciar sfrigolare per cinque minuti a fiamma medio alta.
Aggiungere un po’ di sale e di pepe.
Mettere la salsa di pomodoro in un pentolino insieme a un pizzico di sale e far scaldare sul fuoco.
In un altro pentolino mettere a scaldare del brodo vegetale (o dell’acqua).
Togliere la bieta e le seppie dalla padella e metterli in una ciotola.
Rimettere la padella sul fuoco aggiungere un cucchiaio d’olio e versare il riso, che lascerete tostare per circa 3 minuti mescolando di continuo e salate.
Aggiungere la bieta e le seppie, abbassare la fiamma e iniziare a cuocere il risotto versando subito la passata di pomodoro calda.
Cuocere il risotto aggiungendo un mestolo di brodo solo quando i liquidi precedenti si saranno quasi del tutto riassorbiti.
Proseguire la cottura per circa 15-17 minuti, i tempi di cottura variano molto in base al tipo di riso scelto.
Interrompere la cottura quando il riso è ancora al dente, togliere la pentola dal fuoco, versare un filo di olio e coprire la padella con un coperchio e lasciar riposare per qualche minuto.
Servire subito con un po’ di pepe macinato fresco.
Il Crognolo, detto anche latterino o acquadella, è un pesce di acqua dolce che si può trovare anche lungo le coste con un fondale sabbioso.
Sono piccoli pesciolini (non superano i 10cm), ottimi da friggere in quanto non è necessario pulirli dalla interiora, e la loro carne è davvero molto gustosa.
Per questo la ricetta dei crognoli fritti è un piatto di tradizione povera, semplice e saporito; vengono pescati dall’inizio della primavera fino al termine dell’estate.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 15 minuti
Tempo di cottura: 3-5 minuti
Sciacquare bene i crognoli e metterli a scolare per eliminare l’acqua in eccesso.
Dopo averli sciacquati farli asciugare tra due fogli di carta da cucina.
Mettere un litro d’olio di semi in una padella con i bordi alti oppure in una friggitrice; e far riscaldare fino a 165°.
Infarinare poco per volta i crognoli e adagiarli nell’olio.
I crognoli devono essere cotti poco per volta e tolti dall’olio solo quando sono ben dorati e croccanti.
Il tempo di cottura può variare in base alla grandezza e alla temperatura dell’olio, ad ogni modo non oltre i 5 minuti.
Dopo la cottura, sistemare i crognoli su un foglio di carta da cucina per asciugare l’olio in eccesso. Aggiungere una spolverata di sale e di pepe e servire.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 40 minuti
Tempo di cottura: 20 minuti
Lavare le anguille senza spellarle, tagliarle a tocchetti di 5/6cm e infilarle su spiedini di legno, intervallandole a foglie d'alloro.
Dosare sale e pepe e cuocere gli spiedini sulla griglia o al grill del forno, girandoli a metà cottura: 4 minuti per lato.
Versare l'aceto in una casseruola aggiungendo qualche grano di pepe, una ciocca di salvia, l'aglio e la scorza dell'arancia.
Far spiccare il bollore, quindi coprire il recipiente e lasciar bollire per mezz'ora.
Filtrare la marinatura attraverso un colino fine, travasandola in una casseruola (meglio se di terracotta) nella quale deporrete i tocchetti d'anguilla sfilati dagli spiedini.
Porre la casseruola al fuoco facendo riprendere il bollore e mantenerlo per qualche minuto.
Consiglio: la prelibata anguilla si gusta fredda: si può conservare, immersa nella sua marinatura, in vasi di vetro a tenuta ermetica.
Le cicale (canocchie) fino a pochi anni fa venivano regalate, in quanto non richieste dal mercato e persino evitate dai pescatori in quanto rimanendo impigliate nelle reti, le strappavano.
I pescatori erano soliti sotterrare le reti facendo morire le cicale per poi toglierle senza danneggiarle.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 40 minuti
Tempo di cottura: 20 minuti
Per una zuppa di qualità le cicale di mare devono essere freschissime: è necessario acquistarle vive.
Vanno inoltre lasciate in ammollo per almeno 1 ora, quindi scolate, asciugate e praticate su ognuna un taglio sul carapace (pancia o dorso) con una forbicina.
Versate 3/4 cucchiai d’olio in un tegame, preferibilmente di coccio, in cui rosolare gli spicchi d’aglio ed un pezzetto di peperoncino piccante.
Incorporare le cicale, saltatele e sfumate con poco vino bianco.
Aggiungere la salsa di pomodoro, mescolate e coprire col coperchio. Fate cuocere per circa mezz’ora.
Se si asciuga troppo versare un mestolo di bisque bollente (se non l’avete sostituitela con con del fumetto o brodo vegetale), rigorosamente a caldo.
Mentre la zuppa cuoce, tostare le fette di pane toscano strofinandoci sopra uno spicchio d’aglio.
Foderare con il pane il fondo di una zuppiera (meglio se piccola) e disporre la zuppa sul pane, aggiungndo sale, pepe e un filo d’olio buono. Servire caldissima!
E' possibile preparare le cicale il giorno prima in modo da farle macerare, il carapace diventa tenero, i sapori si mescolano. Prima della consumazione è sufficiente riscaldarle aggiungendo con un bicchiere di bisque o brodo bollente.
Inoltre, se avanza del sugo, può essere utilizzato per condire la pasta: il risultato sarà eccellente!
Per gustare questo piatto è decisamente necessario lasciar da parte il galateo: delle cicale vanno succhiate la testa e il corpo, mordendo quest'ultimo per assaporarne la polpa.
E' inevitabile sporcarsi mani e faccia!
Bisogna poi fare la scarpetta con il pane tostato, che avrà assorbito il sughetto.
Altamente sconsigliato per cene romantiche o galanti.
Il nome Cacciucco deriva dal turco "kuciuck", che significa minuto, piccolo; in questa zuppa di pesce povero, infatti, si mescolano ingredienti diversi, tutti ridotti in piccoli pezzi.
Nacque intorno al 1500, quando i pescatori, a bordo dei pescherecci, si inventarono questa zuppa fatta col pesce meno pregiato, che a riva non avrebbe avuto mercato.
Verso la fine dell'800 venne introdotto il pomodoro (prima non c'erano metodi di conservazione).
per 4 persone
Tempo di preparazione: 20 minuti
Tempo di cottura: 60 minuti
Tagliare a pezzi i pesci (quelli piccoli non importa) e i cefalopodi a julienne.
Tritare la cipolla e unire l’aglio sbucciato e schiacciato; far rosolare la metà del trito con metà olio.
Unire seppie, moscardini e polpo, facendoli insaporire per qualche minuto e sfumarli a fuoco vivace con la metà del vino.
Aggiungere la metà dei pelati e il concentrato diluito con 1 litro d’acqua calda.
Proseguire la cottura per 50 minuti, se necessario aggiungere acqua calda.
In un secondo tegame rosolare l’altra metà del trito con l’olio rimasto, aggiungere i pelati rimasti facendoli insaporire.
Unire il vino rimasto, 1 litro d’acqua e il peperoncino tritato.
Aggiungere tutti i pesci rimasti, portare a ebollizione e cuocere per altri 10-15 minuti.
Unisci i molluschi con il loro sugo ai pesci, aggiungi un ciuffo di prezzemolo tritato, regola di sale e servi il cacciucco con fette di pane toscano tostate.
Le "cée" sono le anguille appena nate che una volta si pescavano con la “cerchiaia” (una sorta di grosso colino), e facevano parte della cucina tradizionale viareggina.
Oggi è assolutamente proibito pescarle, ma spesso si possono trovare quelle straniere in scatola (sono un po’ piu’ grosse).
per 4 persone
Tempo di preparazione: 20 minuti
Tempo di cottura: 15 minuti
Prima della preparazione è consigliabile un’accurata pulitura per togliere "bava", pezzi di alga e piccoli fili d’erba. Ecco la procedura:
Coprire il tavolo con una tovaglia con al centro un piatto fondo in cui si versano, poche alla volta, le anguille.
Versare una goccia di aceto nel piatto e le anguille schizzerano via veloci e cadendo nella tovaglia e lasciando lo sporco sul fondo del piatto.
Una volta cadute sul tavolo, si puliscono le cèe dal muco cospargendole di farina gialla e strigliandole delicatamente con la tovaglia.
A questo punto le anguille cèe sono pronte per essere cucinate.
In una padella far rosolare l’aglio nell’olio, poi toglierlo.
Aggiungere le cèe, la salvia, la scorza d'arancia, la conserva di pomodoro, e salare.
Cuocere per alcuni minuti, aggiungere un po’ di acqua e continuare la cottura per far asciugare un po' il sugo (non troppo).
Servite con la polenta, che avrete preparato a parte.
Nascono nel mar dei Sargassi, vengono portate fin qui dalla corrente. Essendo estremamente giovani, non hanno ancora sviluppato gli occhi.
Il 30 gennaio del 1707, ne viene (in parte) vietata la pesca, in quanto esemplari troppo giovani, quindi non ancora riprodotte.
L'8 giugno 1822 viene vietata la pesca anche nel periodo della cova.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 10 minuti
Tempo di cottura: 10 minuti
Prima della preparazione è consigliabile un’accurata pulitura per togliere "bava", pezzi di alga e piccoli fili d’erba. Ecco la procedura:
Coprire il tavolo con una tovaglia con al centro un piatto fondo in cui si versano, poche alla volta, le anguille.
Versare una goccia di aceto nel piatto e le anguille schizzerano via veloci e cadendo nella tovaglia e lasciando lo sporco sul fondo del piatto.
Una volta cadute sul tavolo, si puliscono le cèe dal muco cospargendole di farina gialla e strigliandole delicatamente con la tovaglia.
A questo punto le anguille cèe sono pronte per essere cucinate.
In una padella far rosolare appena le cée, con la scorza d'arancia e la salvia.
Sbattere le uova e versarle nella padella, salandole a piacere (se piace aggiungere del pepe).
Lasciar rapprendere le uova, girare la frittata e finire di cuocere.
I nicchi non sono altro che le telline, arselle o zighe.
Nei periodi consentiti, la raccolta di queste conchiglie si fa con l'apposito "rastrello" agganciato in vita, tirando per raccogliere i nicchi, separandoli così dalla sabbia.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 10 minuti
Tempo di cottura: 10 minuti
Prima della preparazione è necessario far spurgare i nicchi dalla sabbia in essi contenuta, lasciandoli per un giorno intero in un catino con acqua salata, cambiandola più volte per eliminare la sabbia che si accumula sul fondo.
Scaldare l’olio in un tegame facendolo rosolare con uno spicchio d’aglio schiacciato ed il peperoncino.
Aggiungere le arselle e cuocerle a fuoco vivo. Quando iniziano ad aprirsi sfumare con il vino bianco e aggiungere un po’ di prezzemolo tritato.
Coprire il tegame con una padella rovesciata per creare vapore: le arselle si apriranno del tutto e si formerà il sughetto.
Nel frattempo tostare le fette di pane e strusciarci lo spicchio d’aglio rimasto con un filo d’olio.
Togliere il coperchio delle arselle e rimuovete le arselle rimaste chiuse.
Aggiungere altro prezzemolo tritato ed aggiustate di sale e pepe.
Saltare brevemente e togliere dal fuoco.
Aggiungete un paio di fettine di pane nel tegamino e servire con un bel bicchiere di vino bianco fresco!
Il salacchino è un pesce molto simile ad un’aringa ma più piccolo, meno salato e più morbido, che, un tempo, veniva messo sotto sale. E' senza dubbio uno dei piatti piu' semplici e poveri dei nostri antenati.
Questo piatto viene richiamato nella canzone di Egisto Malfatti "Viareggio timida (il triccheballacche)".
Nel vernacolo viareggino, inoltre, il termine salacchino sta ad indicare una persona secca allampanata, magra come un'acciuga.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 10 minuti
Tempo di cottura: 10 minuti
In una padella far scaldare l'olio.
Togliere le squame al salacchino e adagiarlo nella pentola.
Quando il pesce comincia a sfarsi, la polpa andrà ad insaporire l'olio creando una specie di sughetto con il quale andremo a condire la polenta.
Tradizione vuole che le famiglie povere e numerose, usassero sfamarsi mettendo un salacchino così preparato in mezzo alla tavola, ed ognuno ci intingesse il proprio pezzo di polenta.
La scarpaccia di Viareggio un antico dolce realizzato con ingredienti semplici come farina, uova, zucchero e le zucchine che fanno da regina in questa ricetta.
per 4 persone
Tempo di preparazione: 10 minuti
Tempo di cottura: 45 minuti
Lavare le zucchine, asciugarle e tagliare le estremità. Tagliarle a fettine molto sottili.
In un pentolino fate sciogliere il burro a fiamma bassissima.
Prendere una ciotola abbastanza capiente in cui mettere l’uovo e lo zucchero. Sbatterli bene con una frusta, fino ad ottenere un composto quasi bianco.
Aggiungere il burro fuso (ormai freddo), il latte e la farina setacciata con il lievito per dolci.
Lavorare il composto fino a farlo diventare liscio ed omogeneo. Aggiungere i semi di una bacca di vaniglia e girare il composto così da far amalgamare il tutto.
Aggiungere gli zucchini e continuare a girare con un cucchiaio.
Imburrare e infarinare una teglia di diametro 22, versarci il composto e livellare il contenuto con il dorso di un cucchiaio.
Cuocere a 180° per 5 minuti a forno ventilato, poi abbassare a 160° per 40 minuti.
Sfornare la scarpaccia e servirla.
per apprezzarne maggiormente il sapore si consiglia di farla intepidire leggermente prima di consumarla.